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Il filosofo italiano che lavora a Google
Floridi,professore (italiano) a Oxford è nel comitato per il diritto all’oblio di Google «Mi occupo dei problemi del mio tempo»
Corriere della Sera
11 Aug 2015
Di Elena Tebano
Un filosofo a Google.
Italiano, per di più.
In tempi in cui lo
studio della filosofia sembra buono al massimo per insegnare al liceo o approdare alla gestione risorse umane in una grande azienda, Luciano Floridi, 50 anni, originario di Roma,professore a Oxford, ha concluso il suo primo anno nel Comitato consultivo per il diritto all’oblio dell’azienda di Mountain View.
Ed è ancora più convinto che il mondo dell’hi-tech
abbia bisogno di pensiero.
«C’è tantissimo lavoro da fare. D’altronde da sempre questa disciplina si occupa dei problemi vivi del suo tempo: Platoneprese una barchetta e andò fino in Sicilia dal Tiranno di Siracusa.
All’epoca ci voleva coraggio.
Wittgenstein si arruolò da volontario nella Grande guerra. Per non parlare di Marx».
Sorprende comunque che siano i giganti tecnologici a cercare un filosofo: aziende famose per la pragmatica (e potente) presa sulla realtà, non per l’abitudine alla riflessione.
«Google,come tanti altri, si è scontrata con problemi molto più ampi di quelli tecnici o legislativi- dice Floridi -: sono questioni concettuali ed etiche, cioè filosofiche.
Succede ora perché la società dell’informazione sta entrando in una fase matura.
E deve rispondere a domande strutturali, che
riguardano la natura della nostra cultura, come vogliamo costruire il futuro, che ambiente vogliamo».
Tra le questioni più impellenti c’è proprio il diritto all’oblio: a maggio 2014 la Corte di giustizia dell’Ue aveva stabilito che i suoi cittadini devono poter ottenere la rimozione dai motori di ricerca dei link ai «contenuti non più rilevanti».
Google ha chiamato dieci esperti, tra cui Floridi, perché l’aiutassero a decidere le regole.
La società dell’informa -zione sta entrando in una fase matura.
E deve rispondere a domande strutturali.
Si tratta della natura della nostra cultura, di come vogliamo costruire il futuro e che ambiente vogliamo per farlo.
«Si scontrano due principi: il diritto alla privacy e quello del pubblico all’informazione.
Per noi la soluzione era
eliminare i link a livello europeo, ma non globale».
A luglio il Garante per la privacy francese ha ingiunto di cancellarli anche da google.com.
L’azienda ha annunciato che non lo farà.
Sembra un conflitto
commerciale, invece è la crisi del sistema nato con la pace di Vestfalia.
Dalla metà del ‘600 abbiamo vissuto una corrispondenza completa tra geografia e legge, in base al principio che le regole del mio Paese valgono all’interno del mio Paese, quelle del tuo Paese solo lì.
Ci sono volute guerre
sanguinosissime per arrivare a questa conclusione. Ora sta saltando».
Ma né Google né gli Stati, dice Floridi, sono pronti a riconoscerlo.
«Giocano tutti al gioco di Gutenberg: fanno finta che stiamo ancora parlando di stampa. Google si descrive come il catalogo di una biblioteca virtuale, gli Stati
dicono che togliere i link non significa togliere i
contenuti, quindi non è censura.
Ma il primo non esplicita che dà diversa priorità alle informazioni a seconda della pubblicità o perché sono servizi legati all’azienda (è suo
diritto, è un’impresa).
I secondi scordano che quando rimuovi i link è come se il contenuto non esistesse: oggi la mappa
conta più del territorio».
Conta anche perché ormai siamo abituati a pensare che quello che «dice» Google è vero: eppure - ha fatto notare il sito «Quartz» - non è così.
Se in inglese chiedi al motore di ricerca: «perché si sono estinti i dinosauri?», trovi tra i primi risultati un sito con spiegazioni.
Il motore di ricerca non deve dire la verità, ma solo quello che gli altri guardano rispetto a un tema.
La nostra identità personale dipende sempre di più da quello che avviene online.
Le compagnie che si occupano di tecnologia si confrontano con grandi questioni concettuali ed etiche bibliche,non scientifiche.
E allora? Dobbiamo pretendere che Google dica la verità?
No, secondo Floridi:
«Sarebbe pericoloso, lo trasformeremmo in un oracolo: dobbiamo invece ricordarci che ci sta solo dicendo cosa le persone guardano quando cercano una risposta a quella domanda» bibliche, non scientifiche.
E allora?
Dobbiamo pretendere che Google dica la verità?
No, secondo Floridi: «Sarebbe pericoloso, lo trasformeremmo in un oracolo: dobbiamo invece ricordarci che ci sta solo dicendo cosa le persone guardano quando cercano una risposta a quella domanda».
Internet, ormai, tocca tutti gli aspetti della nostra vita:
«Anche la nostra identità personale dipende sempre di più da quello che avviene online: è influenzata da ciò che crediamo di essere e da ciò che gli altri pensano di noi, oltre che da ciò che siamo.
I social media sono tecnologie potentissime di controllo delle informazioni e non possiamo non tenerne conto».
Anche politicamente: un esperimento di Facebook ha dimostrato che
modificando il suo algoritmo può rendere le persone un po’ più tristi o felici.
«Cosa succederebbe se lo facesse durante un referendum? - si chiede Floridi
Sono questioni che gli Stati devono iniziare a pensare insieme.
Non possono lasciare tutto nelle mani di Silicon Valley».
Floridi intanto- da filosofo - continuerà a pensare il suo tempo.
C’è una domanda, però, a cui vorrebbe poter rispondere ed è senza tempo.
«Vorrei sapere se esiste Dio — dice, poi ride —: se
Google potesse darmi una risposta, lo vorrei tanto sapere».
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